domenica 12 gennaio 2014

ONTOLOGIE DELLA MUSICA


E' sorprendente quanto sia diffusa la credenza che la musica esista o sia esistita prima di essere scoperta da compositore, esecutori e persino matematici.

Ontologie in plurale per indicare non tanto la pluralità delle diverse musiche nel mondo quanto l'esistenza di molteplici ontologie musicale che esistono sia a livello individuale e locale sia su quello globale. Si tenta pertanto di disegnare una mappa sia delle esperienze individuale sia dei paesaggi culturali di musiche "del mondo".

La "condizione metafisica" della musica con cui noi occidentali abbiamo più familiarità è quella di musica come oggetto. In quanto tale essa assume tratti, forme, proprietà, con le rispettive denominazioni che attestano uno statuto oggettivo. D'altra parte, la musica in occidente è percepita anche processo. Essendo i processi delle condizioni fluide, in divenire, essi non assumono mai uno statuto pienamente oggettivo. La musica in quanto processo è pertanto svincolata e aperta e i nomi ad essa attribuiti sono inevitabilmente incompleti.

Bohlman aggiunge a queste due condizioni, da lui individuate per l'appunto come tipicamente occidentali, due altre che attenuano le linee di demarcazione tra l'Occidente e il resto del mondo.

Embeddedness: (non facile da tradurre: è la condizione di ciò che è integrato, incluso, anche radicato) che è la capacità della musica di integrarsi in altre attività fino ad essere inseparabile da esse. In molti casi ciò significa che l'elemento musicale non viene distinto con un nome o un riferimento specifico. L'integrazione o 'inclusività' può essere sistemica, come la 'musicalità' di una lingua, del linguaggio tout court, o del mito. Essa può essere arbitraria, quando ai suoni ambientali si attribuiscono qualità musicali.

Adumbration: Adombramento: quando la musica di per sé non è presente, oppure la sua presenza è negata o vietata (in certe circostanze di certe culture e religioni: l'avvertimento contro l'aspetto dionisiaco della musica in Platone; il divieto ebraico degli strumenti musicali nelle sinagoghe dopo la distruzione del tempio; la negazione  nel Corano di qualsiasi qualità musicale della recitazione). Una zona d'ombra attraverso la quale si intravedono altre modalità di concettualizzare la musica.

L'identità musicale collettiva si sviluppa all'interno del gruppo e diventa sia un mezzo di riconoscimento e comunicazione tra i suoi membri, sia uno strumento efficace per intensificare la specializzazione e incrementare il valore del gruppo stesso fino a definirne i contorni e i confini. Ad esempio i membri della casta dei costruttori di tamburi nel sud Hindu dell'India, nominati pariah in Tamil. Loro usano la propria competenza musicale come un mezzo per sovvertire la gerarchia delle caste. Non potendo esibirsi in pubblico con certi tipi di musica di casta alta (ad esempio il vina), i pariah  puntano sulla specificità e quindi esclusività del proprio patrimonio musicale per dar valore e definire la propria appartenenza di casta.

E' sorprendente quanto sia diffusa la credenza che la musica esista o sia esistita prima di essere scoperta da compositore, esecutori e persino matematici. In Occidente ci sono due tipologie di teorie ontologiche circa l'atto creativo in musica.

La prima concerne prevalentemente i materiali della musica e di conseguenza gli atti che questi subiscono dalla mano di un agente creativo: compositore, un cantore, l'aedo omerico, il gulsar dei Balcani che combina formule musicali per costruirne un racconto epico.

La seconda concerne il fenomeno delle opere musicali e le dinamiche attraverso le quali esse assumono un'identità specifica. In Occidente questo avviene prevalentemente attraverso lanotazione (anticamente si usava una notazione di origine greca che utilizzava le lettere dell’alfabeto. Tale notazione è ancora in uso nei paesi di lingua inglese: A = la · B = si · C = do · D = re · E = mi · F = fa · G = sol.)
Ma esistono casi diversi: certe comunità eschimese della parte nord-ovest dell'America del nord ritengono che l'universo consiste di un numero finito di canzoni che gli individui ricevono ed eseguono ma poi rilasciano di nuovo dentro l'infinito repertorio delimitato dall'universo. Nella musica classica del sud dell'India l'identità del compositore è più rilevante, ma esistono forme di composizioni vocali, ad esempio il kriti che consiste di due frasi relazionate tra loro (asthayi e antara) che vengono continuamente combinate ed elaborate in opere diverse attraverso un processo di improvvisazione.

Musica in Natura
Il nesso tra musica e natura è presente in un modo o l'altro nella maggior parte delle culture. Ad un estremo del continuum troviamo la credenza che la musica esiste nella natura. All'altro estremo la musica aspira verso la natura, ambisce ad emularla.
1) Il primo estremo genera una "retorica delle metafore" utile per la creazione di un "sistema di rappresentazione" di cui l'emblema più ricorrente è il canto degli uccelli rappresentato dalla voce naturale (i Kauli di Papua della Nuova Guinea,i giochi vocali chiamati kattajjait degli Inuit del circuito polare tra Canada e Greenland) o da strumenti musicali in composizioni scritte. In questi casi la musica suona come la natura.
2) La seconda tipologia riconosce i confini tra natura e musica, confini che le procedure compositive e performative possono sublimare stilizzando la rappresentazione senza con ciò cancellarne le tracce.
 
Presso i Wagogo dell'Africa sud-orientale, ad esempio, delle performances musicali collettive possono rappresentare interi paesaggi sonori della natura delineando un parallelo tra società e natura.

La musica come Scienza
«"Musica est scientia bene modulandi"  secondo S. Agostino. Pronunciamenti sulla capacità della musica di essere scienza - di provvedere un modo della conoscenza - sono spesso le prime tracce di ontologie della musica. La cosa importante è che la musica è [effettivamente] un veicolo che ci aiuta a conoscere. Ciò che la musica ci fa conoscere diverge drammaticamente secondo le operazioni in cui essa è integrata. Più tali operazioni scientifiche sono agite sulla musica, e più emerge una sua identità-di-sé [auto-identità] (Musik an sich, musica in e per se stessa); tuttavia, paradossalmente, quella auto-identità ha sempre meno a che fare con la prassi. Tuttavia, la scissione ontologica tra teoria scientifica e prassi non si espande senza fine. Al contrario, esiste una tensione tra scienza e prassi, che rende necessario utilizzare l'una come una fonte dell'altra. Pratiche moderne della musica araba manifestano ancora delle somiglianze con la teoria modale dell'XI secolo dimostrando che la prassi contemporanea non ha abbandonato la scienza come un modalità del sapere musicale.»

La musica come linguaggio
«Perché la musica dovrebbe acquisire l'universalità egemonica che il termine tedesco die Musik ('la musica') ['the music'] le assegna? Perché dovrebbe possedere la presenza relativistica che il termine etnomusicologico "musiche" ('musics') le accorda? Strategie nominaliste sono straordinariamente importanti nelle politiche che le ontologie della musica spesso implicano. "La Musica" appartiene a un gruppo privilegiato con specifico statuto educativo ed economico, non meno che le pratiche della musica d'arte nell'India del sud appartengano all'alta casta dei Bramini, o che le pratiche elitarie in Cina apparengano ad un'intelligenzia che deriva il proprio potere dalle teorie sociali di Confucio. Circoscrivere l'ontologia della musica in singolare non solo vende enciclopedie ma procura anche una base di potere imperiale e di controllo intellettuale.

Per mezzo del linguaggio si ottiene dunque un'oggettivazione e un 'confinamento' della musica, che sarebbero impossibili con il mezzo dell'esperienza o dell'immaginazione individuale. «L'atto di nominare rende possibile una vasta rete di connessioni.
In realtà, seguendo semplicemente la segnaletica stradale che lo conduce dalla musica immediatamente accessibile all'universo di tutta la musica (tutte le musiche), l'individuo è potenzialmente connesso a ciascuno e a tutti i fenomeni musicali.»

La Voce di Dio
«Ne La vita di Maometto di Ibn Ishaq [704 - 767] incontriamo una delle più profonde ed eloquenti rivelazioni ontologiche della voce di Dio attraverso la recitazione e le pratiche musicali.» Egli racconta l'apparizione nel sogno dell'angelo Gabriele che insorge Maometto con l'imperativo "Leggi!", alla domanda del Profeta "che cosa devo leggere?" la risposta insistente è sempre la stessa: "Leggi!" :

Leggi! In nome del tuo Signore che ha creato, ha creato l'uomo da un'aderenza.
Leggi, ché il tuo Signore è il Generosissimo, Colui che ha insegnato mediante il càlamo, che ha insegnato all'uomo quello che non sapeva. (Il Corano, Sura 96: 1-5)

Maometto obbedisce, e quando si sveglia le parole recitate sono "come se fossero scritte nel mio cuore."

«La rivelazione della voce di Dio è diretta, mediata soltanto dal recipiente del corpo che riceve e poi recita la voce così come l'ha ricevuta. Il concetto dell'umano come recipiente per la voce di Dio provvede un momento ontologico comune, che è in realtà il notevole accoppiamento di Dio e gli uomini attraverso la voce e la musica. La dipendenza [tra rivelazione e recitazione] è realizzata a sua volta attraverso una traiettoria che ha inizio con Dio e culmina nella recitazione di una voce - nel caso dell'Islam la recitazione (qira'ah) delle parole reificate come testo sempre già in performance, il Corano. Il sacro diventa quotidiano attraverso la performance musicale.»

Ontologie che iniziano con il quotidiano generano diverse traiettorie di performance musicale che aspirano, per così dire, al sacro. La musica eleva il quotidiano modulando la voce della prassi quotidiana in una prassi sacra. Nel quotidiano questa funzione di trasformazione della voce umana in una voce divina è ottenuta dal rituale [rito].» Ciò avviene ad esempio nei pellegrinaggi, nelle processioni religiose.

Nelle note / Fuori dalle note
Bohlman parte dal presupposto che «La notazione musicale serve come riconoscimento del fatto che la musica non può essere adeguatamente scritta. [Perché] Qualcosa sparisce o si modifica nel corso di una tradizione e di una performance orale, e i suoni che le note rappresentano recuperano il più possibile di quel suono. Le note sono le tracce di molte esecuzioni.»

Nel Tempo / Fuori dal Tempo
In questo paragrafo (che contiene alcuni punti oscuri) Bohlman affronta il mega-concetto di musica e TEMPO.
Tocca rapidamente questioni fondamentali quali il silenzio (sarebbe questo il "outside time"); le scansioni temporali della vita dell'uomo (stagioni, epoche, periodi, orari) e le metafore che ne conseguono; la memoria e la capacità della musica, per virtù della sua «presenza ontologica nel e fuori del tempo», di attraversare i confini tra narrative dell'esperienza e quelle simboliche, e di integrarsi «in processi cognitivi e spirituali della conoscenza di esperienze e mondi altrui.»

Il paragrafo è interessante soprattutto per i riferimenti che fa a esperienze concrete fuori dal canone della musica occidentale:

1) «Nella musica giapponese la nozione del vuoto, nota come ma, è estremamente importante. Ma è il silenzio tra suoni, ma la sua ontologia non è determinata dai suoni che lo circondano. Diversamente dal silenzio di una pausa nella musica occidentale, ma non inizia quando finisce il suono che lo precede e non cessa quando il suono ricomincia. Ma è percepito e ponderato in quanto tale; esso si definisce per mezzo della propria vacuità, della propria ontologica esistenza fuori del tempo.»

2) «L'atto di ricordare nei rituali Sufi, denominati zikr (memoria) porta il credente vicino a Dio sia spiritualmente che fisicamente attraverso la ripetizione del nome di Allah e dei principali epiteti che richiamano la sua essenza.»

3) «La memoria è fondamentale per le connessioni temporali verso il passato che gli Aborigeni dell'Australia vedono come attributo della musica - connessioni che esemplificano la memoria del passato ancestrale attraverso delle time-line per mezzo delle quali il passato diventa presente, o più precisamente il mito si trasforma da uno stato senza tempo in una condizione [reale] delimitata dal canto.»

4) La capacità del canto epico di «negoziare tra i mondi del mito e della storia» si esemplifica nei poemi omerici, le epiche Hindu così come si presentano nella musica classica dell'India del sud e nel wayang giavanese. 

Dalla bellezza musicale /Alla normalità musicale
In questo paragrafo Bohlman affronta il concetto del "bello musicale". Da un punto di vista epistemologico l'argomentazione iniziale risulta  assai problematica perché vi manca una chiara distinzione tra il bello in musica e il con quello del bello nella sua accezione generale nell'estetica occidentale. Emergono tuttavia due punti importanti:

1) La frizione tra l'esigenza - tutta occidentale - di bellezza del costrutto musicale, e l'aspetto funzionale della musica. Musiche non-occidentali che hanno primariamente una funzione sociale e rituale.

«La diffusa natura non-rimarcabile della musica risulta direttamente dalla sua condizione di ontologica inclusione: la musica è talmente partecipe ad altre pratiche sociali, che non c'è bisogno di separarla da esse o di attribuirle delle qualità particolari.»  Ecco perché in molte culture la musica non ha un nome specifico. Persino nella musica dei gamelan (nota per la sua 'artisticità') non c'è una tradizione storica di uditori che si staccano da altre attività per ascoltare la musica attentamente. La musica giavanese (come tanta altra musica non occidentale) trae la propria efficacia dall'accompagnamento di attività quali la narrazione, il dramma, e altre pratiche rituali e sociali della corte e del villaggio.

Suono Autentico / Suono Registrato
Bohlman parte dall'indiscutibile premessa che «Le tecnologie di riproduzione del suono confondono radicalmente le ontologie della musica.»

Nel Corpo / Lontano dal Corpo
L'allontanamento del e dal corpo umano messo in atto dalle moderne tecnologie di riproduzione è, secondo la premessa non priva di difficoltà di Bohlman, un'espressione di paure profonde che vanno al di là delle dinamiche di controllo e di manipolazione che l'industria musicale permette e incoraggia.

Il coinvolgimento del corpo nella produzione di musica presentava un problema per le religioni e il rimedio è spesso stato una divisione di categorie e di ruoli. [Platone distingue tra la musica virtuosa rappresentata dalla lira, e quella insidiosa rappresentata dall'aulos]. Quando l'Islam ha cominciato a tenere la musica in sospetto, si è creata la categoria di musica strumentale [pura rispetto a quella vocale - carnale e sensuale] indicata con il termine musiqa  o musiqi preso in prestito al greco / latino. I musicisti erano spesso 'altri',  provenienti dalle minoranze protette degli ebrei e dei cristiani. [L'affidamento delle funzioni musicali a caste separate è presente già nella Bibbia ebraica; i Leviti che erano addetti alla musica fin dal tempio provvisorio durante la permanenza del popolo d'Israele nel deserto]. «Sentire e ascoltare (sama) erano fisicamente separati dal suonare e dall'eseguire, risolvendo così, almeno parzialmente, la tensione che risulta dalla presenza ontologica del corpo nella musica.»

Le ontologie della musica occupano un ambito filosofico importante non solo per coloro che pensano sulla musica. Esse risiedono nella dimensione fisica e quotidiana; in quella del bello e dello spirituale; nelle Storie passate e nei miti sul futuro. Sono sparse attraverso l'intero spettor dell'esperienza umana. Pensare la musica e vivendola sono pratiche umane basilari.

I concetti ontologici esposti in questo saggio non sono isolati in sé né lo sono uno dall'altro. Mentre alcuni di questi concetti possano essere predominanti in certe culture, o persino fondamentali per i costrutti di una determinata cultura rispetto a che cos'è musica e che cosa non lo è, essi non dividono il mondo in differenti regioni. Le ontologie della musica in Occidente non sono più o meno numerose di quelle, create dall'Occidente, di 'altre' culture e popoli. Le tecnologie influenzano virtualmente tutte queste ontologie, e molte di quelle che sono state qui discusse hanno determinato il modo in cui le tecnologie hanno dato forma al modo in cui gli uomini immagina la musica. Musica come oggetto e musica come processo possono suggerire condizioni che descrivono la musica in diversi stadi di produzione e riproduzione ma, nonostante ciò, oggetto e processo dipendono da entrambe. L'inclusione della musica nei contesti di tempo e di spazio, nella storia e nella cultura, generano inoltre le condizioni di adombramento: il nesso della musica con pratiche culturali in cui essa non partecipa direttamente. L'interrelazione di queste condizioni metafisiche è una metonimia suggestiva delle ontologie della musica.

IN conclusione, ritorno al plurale che ha servito come punto di partenza per questo saggio. Se si intende usare 'ontologie' in plurale, non si dovrebbe fare la stessa cosa con 'musiche'? Se mantengo 'musica' in singolare, ciò non significa forse che sto capitolando la premessa ontologica dell'Occidente? Sì e no. Sì, perché ontologie musicali non si occupano di una singola nozione di musica. No, perché la nozione di musica è internamente complessa e multipla. I processi che conducono all'immaginazione e alla costruzione di un'ontologia musicale mirano ad un'ontologia che esprima e risieda in qualche intendimento di auto-identità. Lungi dalla negazione di altre musiche e altre ontologie, tale identità dipende da esse. Un'ontologia individuale della musica disegna quindi il paesaggio musicale globale da prospettive locali, e immagina che cosa sia la musica secondo le condizioni che determinano quelle prospettive. Mentre dipende da una distinzione tra il sé e l'altro, ogni ontologia offusca tale distinzione; il sé è inteso come intrecciato con un altro.

Ontologicamente, la musica è immaginata e concepita più tramite l'atto di 'ripensare' che tramite quello di 'pensare'. 'Pensare la musica' privilegia  una modalità cognitiva di intendere la musica; essa procede con la certezza che il sé, in ultima analisi, è conoscibile. 'Ripensare la musica' procede soltanto nervosamente, senza la convinzione che qualsiasi processo ontologico sia in fondo conoscibile; noi ripensiamo la musica credendo che qualcosa sia stato perso nel giro precedente. 'Ripensare la musica' mina il 'pensare la musica' e va oltre. E ancora più importane:  ripensare la musica ci chiede di situare la nostra comprensione della musica in altre esperienze del fare musica, nelle pratiche umane di dare vita alla musica attraverso il rituale e la fede, l'azione e l'immaginazione, e anche, sì, attraverso il pensiero.»


Riassunto del saggio di Philip V. Bohlman, Ontologies of Music

Sri Vemu Mukunda e lo Yoga del suono





L’essere umano è capace di suonare e risuonare indipendentemente dal fatto che sappia cantare, suonare o che conosca la musica.

Sri Vemu Mukunda è stato uno dei maggiori maestri contemporanei di questa disciplina destinati a lasciare una traccia indelebile, le notizie biografiche su di lui sono però scarse. Pur essendo un uomo di cultura e un ottimo musicista, non amava apparire.

Sri Vemu Mukunda nacque l'11 Marzo 1929 a Bangalore e morì a Londra il 4 Febbraio 2000.

La sua appartenenza ad una famiglia agiata gli permise di poter compiere studi musicali in India, dove divenne un ottimo strumentista di Vina, il principale strumento a corde dell'india del Sud, e di completare i suoi studi universitari in Fisica nucleare a Glasgow, in Gran Bretagna.

Notizie molto attendibili gli attribuiscono un incarico come ricercatore nel campo della fisica nucleare presso l'università di Strathclyde. Vemu Mukunda indagò con la curiosità intelligente dello scienziato, unita all'amore del musicista, i fenomeni del suono, lo studiò analizzando le sue caratteristiche e i suoi effetti sugli esseri umani e sull'ambiente.

Da musicista collaborò con Maynard Ferguson, con Maurice Béjart, senza tralasciare esponenti della musica leggera come Eric Clapton, Yoko Ono e John Lennon ed Elton John.

Vemu Mukunda cercava di scoprire le potenzialità insite negli esseri umani: era capace di suonare la Vina per ore, ascoltando l'effetto dei suoni su di sé, così come di tentare di attraversare il canale della Manica a nuoto per sperimentare la sua risposta fisica ed emotiva nell'acqua in condizioni limite.

Vemu Mukunda compì viaggi in Tibet, in India, In Europa e negli Stati Uniti. Sicuramente incontrò alcuni monaci buddisti tibetani, così come sicuramente conobbe e frequentò diversi Maestri Spirituali contemporanei con cui si confrontò nel suo cammino di ricerca interiore legato allo Yoga del Suono.

Sri Vemu però non amava parlare di sé e nemmeno farsi fotografare, preferiva parlare del Suono e delle sue potenzialità e del Suono come via per ritrovare la Spiritualità.

Nella sua analisi egli parte prima di tutto dallo studio delle caratteristiche principali del suono: l'altezza (frequenza vibratoria), l'intensità (volume), il timbro (caratteristiche della voce o dello strumento che lo producono).

Prosegue poi prendendone in considerazione anche la durata, cioè la lunghezza di un suono nel tempo (un secondo, 2 secondi ecc...).

In questo modo sono stati analizzati alcuni dei mantra principali e delle scale che compongono i Raga in uso nella musica indiana e nella medicina Ayurvedica.

Vemu Mukunda ha detto più di una volta ai propri allievi: «Come la luce, se focalizzata e indirizzata in modo particolare, può uccidere o guarire, così può succedere per il Suono». E aggiungeva: «Torniamo al Suono; allontanandoci dalla vibrazione originaria e creatrice ci siamo persi e ci siamo scollegati dalla nostra fonte di energia spirituale».

Tornare al suono come fonte di equilibrio e di benessere, perché l'essere umano è capace di suonare e risuonare indipendentemente dal fatto che sappia cantare, suonare o che conosca la musica.

L'essere umano entra in vibrazione con la totalità del corpo e può considerarsi racchiuso in tre ottave sonore: immaginiamo di trovarci davanti la tastiera di un pianoforte e suonando i tasti bianchi in sequenza, a partire dal DO centrale, andiamo a raggiungere il terzo DO a destra. In questo modo abbiamo percorso idealmente le potenziali sonorità delle tre ottave del nostro corpo.

Le nostre risonanze appaiono evidenti nella voce, che cambia frequenza in base agli stati d'animo, alle emozioni e alle sofferenze fisiche, così come è la nostra voce, per prima, a evidenziare gioia e benessere.

Lo Yoga del Suono è una via armonizzante per il corpo, la mente e lo spirito e la pratica del mantra Om/Aum, a detta di tutti i Maestri, è una delle pratiche principali.

Anche per Vemu Mukunda è di grande importanza la pratica di questo mantra e ne predilige l'intonazione nella forma di Aum con l'altezza definita e la ritenzione del respiro. Ma vengono utilizzati anche altri mantra anche questi intonati con un'altezza e un'intonazione specifica.

Le scale indiane vengono suonate ed intonate utilizzando le sillabe SA, RI, GA, MA, PA, DHA, NI, SA.

Vemu Mukunda ha posto l'accento sullo Yoga del suono inteso come via per la conversione delle energie, di accordatura dell'uomo con sé stesso e il mondo e l'universo in cui vive.


LO YOGA DEL SUONO
E LA MUSICOTERAPIA NADA BRAHMA
Introduzione
La cultura degli antichi Hindu è sorprendentemente ancora vitale nell’India odierna.  Da una parte la società indiana guarda al passato ed alla sua grande eredità culturale e spirituale,mentre dall’altra è proiettata verso lo sviluppo tecnologico che caratterizza il tempo in cui viviamo.
Il grande libro dei Veda, il testo che raccoglie l’antica sapienza, ha tramandato molti insegnamenti nei più svariati campi della scienza. Ciò che alcuni grandi esponenti nel campo della fisica sono giunti oggi ad affermare con i loro esperimenti di fisica nucleare, fu esposto molti secoli fa dagli antichi saggi, i Rishi dell’epoca Vedica.
I Veda sono composti da quattro libri: Rig Veda, Atharva Veda, Yajur Veda e il Sama Veda. E’ proprio da quest’ultimo, il Sama Veda, che trae origine la scienza del suono utilizzato come via di elevazione spirituale. Nel Sama Veda sono raccolti i canti liturgici, gli inni rivolti ai vari aspetti del Divino che si manifesta in infinite forme al fine di divenire accessibile ad ogni persona, secondo le sue capacità di comprensione.
Nelle Upanishad, letteratura immediatamente posteriore ai Veda. si trovano molti riferimenti al suono primordiale: OM (AUM). OM è detto anche Nada Brahma, cioè Suono Creatore. Intonando questo suono con attitudine interiorizzata e ricordando costantemente il suo significato, si giunge col tempo a realizzarne l’essenza spirituale e a trascendere le limitazioni della condizione umana.
 
Le origini e il significato della Musica Indiana
Le radici di quella che oggi viene chiamata Musica Classica Indiana si ritrovano nel Sama Veda e in altri testi di epoche più recenti dedicati agli aspetti tecnici della musica. 
La musica in India è stata per lungo tempo utilizzata per lo sviluppo della mente e del corpo. Nella cultura indiana si ritiene che l’influenza della musica inizi già allo stato fetale e continui durante tutta l’esistenza, fino alla morte. Ascoltare la musica, cantare, oppure suonare uno strumento preparano tanto il corpo quanto la mente ad affrontare le difficoltà della vita ed infine a comprendere e ad accettare la morte con dignità.
Nella tradizione musicale indiana le melodie (Raga) e i cicli ritmici (Tala) possono provocare emozioni diverse, reazioni fisiologiche, agire sui fenomeni atmosferici, sono inoltre indicate in determinate stagioni o in differenti periodi del giorno o della notte.

Cosmogonia
Il Suono Creatore, nella tradizione cristiana il Verbo, è il mezzo indispensabile per la creazione del mondo:

SHABDA BRAHMA
- LA PAROLA CREATRICE -
SI MANIFESTA COME
SWAYAMBHU
 - COLUI CHE CREA SÉ STESSO -
IL QUALE SI SCINDE IN TRE ENTITA' 
DOTATE DI POLARITA' MASCHILE E FEMMINILE
BRAHMA - MAHA SARASVATI
VISHNU - MAHA LAKSHMI
SHIVA - MAHA SHAKTI

A
(CREAZIONE)
U
(MANTENIMENTO)
M
(DISSOLUZIONE)



P  O  L  A  R  I  T  A'     M  A  S  C  H  I  L  E
BRAHMA
VISHNU
SHIVA



P  O  L  A  R  I  T  A'     F  E  M  M  I  N  I  L  E
MAHA
SARASVATI
MAHA
LAKSHMI
MAHA
SHAKTI

Per la manifestazione della vita nel cosmo sono necessarie queste tre forme di energia di creazione, mantenimento, dissoluzione che derivano tutti da SWAYAMBHU. La vita nasce dall’interazione di queste tre forze che, a loro volta, sono distinte in polarità maschile e femminile in reciproca armonia.

Nada Yoga
Il potere del suono, i suoi effetti sulle emozioni e la sua forza terapeutica e spirituale erano fenomeni conosciuti e praticati da tutte le antiche civiltà, come se fosse esistito un ceppo di origine comune a questa conoscenza. 
La cultura che più ha conservato i tesori di questa scienza del suono è senza dubbio quella dell’India. Gli esseri umani, nel corso della loro lunga presenza sulla terra, si sono progressivamente allontanati dall’armonia che è all’origine della creazione. Ciò ha portato a rendere la condizione umana sempre più soggetta alla sofferenza e all’insicurezza e a dimenticare il vero senso dell’esistenza.
Per ritornare all’armonia originaria della creazione, l’essere umano ha a sua disposizione il suono OM: è il simbolo del suono creatore, Nada Brahma. Se ci si mette in sintonia con esso intonandolo correttamente, si può allora ritornare alla condizione originale, quando tutto fu creato all’inizio del tempo.
La pratica del suono OM produce effetti sul piano mentale e su quello fisiologico. Crea una condizione psicofisica favorevole all’introspezione, porta alla conoscenza di se stessi e a ritrovare la propria dimensione spirituale.

La musicoterapia Nada Brahma di Vemu Mukunda
In India esiste tutto l’impianto teorico musicale, codificato da secoli, riguardante l’uso dei suoni, melodie e ritmi collegati a stagioni, orari, stati fisici e psichici e a tutte le circostanze della vita dell’uomo e della natura, e la pratica musicale è saldamente fissata su questo sistema.
Vemu Mukunda è nato in una famiglia con una lunga tradizione musicale ed è lui stesso maestro di Vina, musicista e profondo conoscitore del patrimonio musicale Hindustano e Karnatico.
La sua formazione scientifica in Fisica Nucleare gli ha permesso di sviluppare l’attitudine a verificare sperimentalmente tutto quello che la millenaria tradizione musicale Hindu ci ha lasciato.
Il suo metodo terapeutico utilizza il suono come fenomeno vibratorio che può agire direttamente su specifici punti del corpo. Questi punti sono collegati a stati emozionali, quindi il suono utilizzato con attenzione può indurre modificazioni sia psichiche sia fisiche nella direzione desiderata.
La possibilità di indurre trasformazioni nel campo della materia rende questo metodo assai differente dalla moderna musicoterapia del mondo occidentale che, invece, impiega la musica prevalentemente come strumento di comunicazione, di gioco e di socializzazione.
Da qui nasce la necessità di ritornare alla fonte, a SHABDA BRAHMA, il Suono Creatore, con l’aiuto del Nada Yoga.
Il principio base del Nada Brahma Yoga, descritto nei testi Vedici, afferma che dapprima è necessario purificare la mente riportandola sotto controllo; quindi regolare le percezioni sensorie per avere una vita più armoniosa. 
Successivamente è possibile irradiare vibrazioni sonore e utilizzare specifici passaggi e determinati movimenti musicali per permettere al paziente di curarsi da solo, aiutando l’autoregolazione dei vari sistemi dell’organismo.

Ottave nel corpo
La voce cambia in relazione alle diverse esperienze del momento e cambiano anche le sue frequenze. Normalmente la frequenza di una voce condizionata dai vari stati d’animo ha l’estensione di un’ottava musicale.
Questa è l’ottava centrale di una serie di tre ottave di risonanza che possiamo trovare nel corpo umano:
- ottava inferiore, dagli alluci all’ombelico
- ottava centrale, dall’ombelico al centro della fronte (occhio spirituale)
- ottava superiore, dall’occhio spirituale alla sommità del capo.
Nell’ottava centrale la tonica inferiore produce calma mentale e fisica ed è localizzata in corrispondenza dell’ombelico.
La tonica superiore porta serenità spirituale e richiama la consapevolezza in corrispondenza dell’occhio spirituale, al centro della fronte, dove idealmente guardano gli occhi incrociati verso l’alto.
Tutte le altre emozioni si collocano tra questi due punti e la frequenza della voce cambia man mano che la consapevolezza si muove da un punto all’altro del corpo.
Ascendendo dalla tonica inferiore a quella superiore, lungo lo spettro sonoro di un’ottava, si passerà attraverso 22 punti principali di energia emozionale, chiamati Nadi, che corrispondono ad altrettanti punti nel corpo, e la consapevolezza si muoverà da un’emozione all’altra.

Nadi e Shruti
Ogni giorno accumuliamo energie emozionali sia positive sia negative e queste possono rimanere bloccate a livello dei Nadi.
Questi blocchi emozionali, anche se a livello inconscio, danno origine a disarmonie mentali e fisiche. I 22 Nadi sono correlati a note musicali chiamate Shruti. Se le energie emozionali, bloccate in tali punti, possono essere raggiunte per mezzo di un attento uso delle note, allora le persone affette da turbe psichiche potranno convertire le energie emozionali negative in energie positive, ed avvicinarsi alla comprensione delle cause dei loro problemi e a liberarsene, se è maturo il tempo per tale possibilità.

Tonica personale
Ognuno di noi possiede la propria nota base o tonica, che è la manifestazione sonora della nostra essenza profonda, che può essere determinata partendo dal suono della voce, mediante un particolare metodo di rilevazione.
La tonica personale può avere differenze di pochissimi Hertz, soprattutto in quelle culture che non utilizzano i sistemi temperati di accordatura. In occidente comunque l’influenza del nostro sistema musicale, che si avvale di frequenze relativamente fisse, organizzate intorno ai 440 Hz (corrispondenti alla nota LA dell’ottava centrale del pianoforte) favorisce, in generale, l’identificazione della tonica individuale con queste frequenze determinate. Così vi saranno persone con la tonica SOL, altre con la tonica SOL#, oppure LA, e così via. 
In ciascuna frequenza si riscontrano precise caratteristiche psicologiche rilevate statisticamente su un’ingente mole di dati. Questo aspetto apre un nuovo campo di studio sulle tipologie umane e sulle modalità di relazione che scaturiscono dall’interagire di frequenze consonanti e dissonanti.
Dopo un’analisi accurata sull’effetto delle diverse note sul soggetto, si può creare una musica mantenendo la tonica personale come nota base dell’ottava. Lavorando sui punti di energia emozionale bloccata, è possibile influenzare i processi fisiologici e aiutare la mente a sciogliere le sue complessità.

La sillaba sacra OM (AUM)
Il canto di questa sillaba, secondo questo sistema, è assai differente dal modo in cui viene praticato oggi sia in Occidente sia in Oriente. Questa sillaba è un mantra e rappresenta anche foneticamente le tre forze che regolano l’Universo. Come i suoni musicali sono più da sentire che da capire, così i suoni dei mantra sono rivolti alla mente incondizionata e raggiungono il cervello senza aver bisogno di un significante. La vera base della terapia è liberare la mente dai condizionamenti ed entrare in contatto con la sua parte più primitiva. Non c’è intelletto, ma contatto con lo spirito puro.
 
 
A

U

M
BRAHMA

VISHNU

SHIVA
CREA

MANTIENE

DISSOLVE

Il canto particolare di questa sillaba, secondo il metodo delle ottave che Vemu Mukunda ha riportato alla luce, è al tempo stesso strumento di diagnosi e mezzo di terapia e riequilibrio per eccellenza; la diagnosi può essere formulata solo grazie ad un ascolto attento del modo in cui il suono passa attraverso il corpo. Percepire le interruzioni del suono, le sue accelerazioni, le inflessioni e le sfumature che prende in corrispondenza di certi punti energetici è già l’inizio della terapia. Il suono del canto inizia a lavorare per riequilibrare i punti energetico-emozionali attraverso l’armonizzazione delle frequenze.
La globalità della persona è sintetizzata nella voce. Per questo è importante ascoltarla e conoscerla: comprendere e sentire a quale emozione è collegata una determinata frequenza è l’inizio del processo di trasformazione.

Trasformazione
Per comprendere lo Yoga del suono, è necessaria una pratica personale attenta e una raffinata sensibilità d’ascolto, non solo uditivo; come è stato già detto, bisogna sentire il corpo e sentire come il suono si sposta nel corpo, i punti risonanti, gli ostacoli, le oscillazioni di frequenza e tutte le sfumature che possono schiudersi ad un’attenzione aperta e presente.
Lo scopo è di permettere all’energia di trasformarsi secondo il suo percorso naturale, che passa attraverso tutti gli stati emotivi necessari prima di essere convertita in una pace di ordine più alto, di natura spirituale e di vibrazione più sottile.
Vemu Mukunda, in linea anche con la scienza occidentale contemporanea, afferma che l’osservazione consapevole delle manifestazioni dell’energia, trasforma queste stesse manifestazioni. Inoltre, la contemplazione del movimento energetico permette di ricondurlo ad uno stato di quiete simile a quello da cui ha avuto origine, ma di livello superio

A. Zappalà e C. Gevi

De musica di Sant’Agostino


la modificazione non si prolunga al di là e non si costringe al di qua, perché è la misura del suono che la produce … E non può esistere se non si ha il suono che l’ha prodotta: è simile alla traccia lasciata nell’acqua, che non si forma prima che tu abbia immerso il corpo e non rimane quando lo ritrai.

Musica est scientia bene modulandi, la musica è la scienza del misurare correttamente secondo un ritmo. Questa è la definizione di musica proposta dal Magister-Agostino al discipulus nelle prime pagine del De Musica, un dialogo condotto con la tecnica della maieutica socratica che consente al lettore di collocare il concetto di musica all'interno del pensiero agostiniano. La musica, infatti, collocata da Agostino nella prospettiva cristiana, diventa strumento per elevarsi a Dio, in quanto consente all'uomo di passare per corporalia ad incorporalia, ovvero dalla realtà sensibile e corporea a quella sovrasensibile, incorporea e spirituale. Il numerus, ovvero il ritmo, e l'actus sentiendi presieduto dall'anima sono l'anello di collegamento fra esteriorità, interiorità e fra questa e la superiore dimensione spirituale e divina. Per Agostino, la percezione della musica si verifica mediante l'actus sentiendi, ossia un'attività dell'anima stessa che, presente in ogni parte del corpo, è continuamente attenta ad ogni minima modificazione che in lui avviene e che è provocata da oggetti esterni. Mediante la musica e la sensazione, l'uomo giunge a scoprire, nella sua stessa anima, l'esistenza di principi immortali che derivano direttamente da Dio: i numeri. I numeri esistono innanzi tutto nell'aria che, "percossa", produce il suono. Sono i numeri sonantes che si verificano indipendentemente dal fatto che ci sia o meno qualcuno che ascolti. Esistono poi i numeri occursores, presenti nell'orecchio di chi ascolta e che senza i precedenti non possono esistere. Poi ci sono i numeri che esistono indipendentemente dai primi due: progressores, indispensabili perchè si inneschi il motus dell'aria che produce il suono. Ma esistono anche numeri che si possono ascoltare senza che l'aria sia percossa perchè essi sono presenti nella nostra memoria: sono i numeri recordabiles. Se poi siamo naturalmente portati ad essere dilettati o infastiditi da ciò che ascoltiamo, secondo la maggiore o minore "uguaglianza" riscontrata nell'ascolto, ciò lo dobbiamo ai numeri iudiciales. Questi ultimi ci consentono di modulari, ovvero di misurare correttamente, ovvero di giudicare. Ma di che giudizio si tratta? Solo di un giudizio estetico. Ma quali numeri ci consentono di bene modulari? I numeri rationales, superiori a tutti gli altri in quanto permettono di esprimere il vero giudizio, quello razionale, non più legato alla corporeità, come il giudizio estetico (modulari), bensì alla moralità (bene modulari). Così Agostino-Magister classifica definitivamente i vari numeri-ritmo: i numeri rationales divengono i veri iudiciales, mentre i numeri iudiciales divengono sensuales. Secondo l'Ipponate la nostra anima non sarebbe in grado in alcun modo di consentirci di percepire la musica e di giudicare la sua minore o maggiore bellezza se non fosse impresso in lei l'ideale immortale di bellezza che può derivarle solo da un'essenza superiore (Dio). È solo la ratio che consente di tradurre quanto ascoltiamo in puri rapporti matematici; essa consente di ricondurre quanto è soggettivamente piacevole alla Bellezza oggettiva, caratterizzata dalla perfezione dell'uguaglianza e dell'unità. I numeri rationales/iudiciales sono un dono per l'anima, affinché essa possa cogliere nelle cose sensibili le tracce e i segni della aequalitas numerosa, autentica Bellezza manifestazione dei numeri aeterni presenti solo in Dio. Il numerus-ritmo come filo conduttore, il numerus per riscattare dalla caducità una materia effimera come il suono. La musica, operatio animi fondata sui numeri, quasi scrigno di segni teofanici, è mezzo per l'anima per potersi elevare fino alla contemplazione della perfetta uguaglianza, della vera Bellezza.

Marina Greco 



Agostino nella sua ricerca parte dalla:

osservazione di taluni modi d’essere di cui si cerca la spiegazione ultima … Si tratti del mondo dei corpi in divenire o della vita del pensiero alla ricerca del vero, il fatto fondamentale da spiegare resta il medesimo.

Un’analogia con il X libro delle Confessioni aiuta a comprendere il punto di partenza dell’opera, per poi individuarne il vero oggetto.

Ma cosa amo, amando te?

Per rispondere alla domanda Agostino osserva:

interrogai sul mio Dio la mole dell’universo, e mi rispose: “Non sono io, ma  è  lui che mi fece”

Nel VI libro del De musica Agostino considera inizialmente  la scoperta del mondo esteriore a partire dalla conoscenza sensibile, per arrivare in seguito a domandarsi cosa significhi  sentire, se questa possibilità risieda nei suoni materiali o nell’atto dell’udire; prende dunque avvio da quella che, per sottolineare l’analogia con le  Confessioni, si potrebbe interpretare come una interrogazione della mole dell’universo.

Con il percorso proposto Agostino non vuole mostrare ciò che l’uomo può dominare o meramente ciò che gli consente di permanere in  una  verità obiettiva e utilizzabile, ma (forse a causa della sua
inquietudine conoscitiva) è spinto a oltrepassare la prima consapevolezza acquisita sulle possibilità umane. Seguendo la prospettiva totalizzante suggerita dalla realtà, è continuamente indotto alla ricerca di ciò che possa mostrarsi soddisfacente per l’umano desiderio e che inveri sia il cammino lungo il territorio di grammatici e poeti sia ogni altra ricerca conoscitiva condotta dall’uomo. Perciò
l’oggetto dell’indagine deve essere adeguato:

Io penso che l’uomo deve tendere all’oggetto che può possedere, quando lo desidera … Deve essere dunque, soggiunsi, un bene stabile, non dipendente dalla fortuna, non condizionato dai vari accadimenti. Infatti non possiamo assicurarci quando e per tutto il tempo che vogliamo ciò che è
perituro e caduco.

A ben vedere già dall’inizio del VI libro si trova esplicitato il nascosto desiderio di  passare dalle realtà corporee alle incorporee, ovvero dalle realtà mutevoli a quelle stabili, immutabili, che permettono di conservare ciò che invece è  perituro e caduco, perché  le perfezioni invisibili di Dio si contemplano comprendendole attraverso le cose che sono state create (Rm 1,20).

Quali passaggi dunque vengono proposti da Agostino nel VI libro del De musica, per conoscere innanzitutto le cose create e giungere quindi dai numeri corporei e da quelli spirituali ma mutevoli ai numeri immutabili, che esistono ormai nella stessa immutabile Verità? Nella domanda è già evidente come la questione sia posta sin dall’inizio su più  livelli e prenda in considerazione una pluralità di aspetti possibili. Si può sostenere infatti che l’analisi prenda le mosse dall’aspetto più materiale dell’esperienza sonora, permettendo così di:

osservare, quasi come in un laboratorio, il mistero della creazione, del sorgere della storia e quindi del tempo, non in senso metaforico, ma in senso materiale senza tuttavia concludersi su questo piano.
   
In questo modo viene posto anche il problema più generale: perché non si esige semplicemente un principio, ma un principio ontologico? Tale domanda è importante se si pensa che è possibile descrivere l’essere del mondo nella sua semplice presenza e ricorrendo alle relazioni che sono ad esso immanenti. Se l’atto creativo della posizione dell’essere sorge dalla libertà, come va intesa la relazione che intercorre tra colui che pone e ciò che è posto?

Si può sostenere che proprio il tema della creazione è fondamentale, nel De musica e nella ricerca Agostiniana, ed emerge a partire dall’ascolto della relazione natura-uomo-Dio.

Nel VI libro innanzitutto Agostino prende in considerazione la percezione del verso ambrosiano  Deus creator omnium, sorprendendosi di un ritmo che, con la propria cadenza regolare, crea inaspettatamente una forma che si offre al pensiero di chi ne fa esperienza. Questo modo di darsi del verso – a intervalli regolari – permette al soggetto conoscente, e a noi che leggiamo, di iniziare un cammino conoscitivo a partire dalle tracce dei numeri: i numeri sono i tratti oggettivi che immediatamente permettono una misteriosa ed effettiva corrispondenza tra il soggetto conoscente e la cosa stessa che viene conosciuta.

A un primo livello di analisi vengono ricostruiti i diversi punti di vista da cui viene determinato il fenomeno sonoro: realtà, percezione, sentimento, misura, giudizio.
Andando più a fondo del primo darsi del verso ambrosiano, si spiega anche la ragione per la quale nei libri precedenti Agostino si è intrattenuto così a lungo nell’analisi metrica.
L’obiettivo dell’analisi infatti, sottolinea spesso Agostino, non era di permanere nella scienza limitata alla cose finite, ma è stato necessario attraversare il territorio di grammatici e poeti per provare che il continuo combinarsi reciproco di ritmi e piedi porta con sé la legge dell’ordine delle cose e la razionalità intrinseca di ogni movimento.  Per poter anche noi riconoscere le strutture numeriche proprie della sensazione, del creato e del loro specifico rapportarsi, possiamo cogliere la domanda che Agostino pone al discepolo quando vuole sapere se i numeri, che permettono a un suono di verificarsi con i suoi ritmi, siano già presenti nell’udito di chi ascolta o se invece sia il suono stesso a causarli dall’esterno. Per avvicinarsi alla comprensione delle condizioni di possibilità dell’udito di afferrare un suono, occorre esaminare la relazione effettiva  che si dà nell’esperienza: la modificazione che l’orecchio subisce.

Siamo ancora al livello della percezione.
 
Quando l’urto di corpi produce una modificazione, cosa accade nel senso del soggetto? Agostino chiede se quando esperiamo il primo genere – che si dà con il  suono – possiamo sperimentare contemporaneamente qualcuno  degli altri quattro modi  descritti. E l’ascolto del suono (la modificazione) può esserci se non suona niente? E quelle orecchie possiedono gli stessi numeri  anche se non c’è  suono?  Cosicché la variazione apportata all’orecchio dal suono, porta con sé anche i numeri che si trovano nello stesso sentire dell’udito e quindi questi numeri sono introdotti dal suono e portati via dal silenzio?

Eccoci sulle tracce dei numeri.
 
Innanzitutto occorre dire che  l’udito è aperto ai suoni buoni allo stesso modo che ai cattivi, tanto che udire un suono è diverso dal non udirne nessuno, così  udire una voce differisce dall’udirne un’altra. Gradualmente ci avviciniamo alla soluzione:

la modificazione non si prolunga al di là e non si costringe al di qua, perché è la misura del suono che la produce … E non può esistere se non si ha il suono che l’ha prodotta: è simile alla traccia lasciata nell’acqua, che non si forma prima che tu abbia immerso il corpo e non rimane quando lo ritrai.


Così Agostino sottolinea un aspetto di questo rapporto suono-udito, e profila la prima risposta a  una delle domande poste. Ovvero possiamo sostenere che i  numeri presenti (dell’udire) sono strettamente legati e dipendenti dai  numeri sonanti (del suono), dal momento che il suono percepito è originato esclusivamente dal suono che giunge all’organo, tanto che non si attiva se non in relazione a quello. Al contrario i numeri del  suono sono totalmente indipendenti dai numeri che sono nell’atto di udire. Questa affermazione risulta decisiva per la scoperta del fatto che i  numeri presenti sono la reazione alla passione portata dal suono in atto. Ma quindi se non suona niente quelle orecchie  possono ugualmente possedere dei numeri? Il discepolo sostiene:
 
Muovendo dalla regola secondo cui non bisogna anteporre coloro che fanno alle cose fatte, sono costretto a concedere la palma ai numeri che suonano, perché li percepiamo quando li ascoltiamo, e quando li percepiamo ne siamo modificati. Essi dunque producono quelli che sono nella modificazione dell’udito quando ascoltiamo, poi quelli che possediamo nell’atto di ascolto a loro volta ne producono altri nella memoria, ai quali giustamente sono da preferire perché fatti da loro.

Diversamente Agostino afferma che  il nostro udito senza certi numeri in esso nascosti non avrebbe potuto agire in alcun modo. Si tratta dunque di capire cosa significhi  sentire, o ancora meglio dove risieda la sua condizione di possibilità, se nei suoni materiali o nell’udire che li fa risuonare. E così si apre un’analisi sullo stato di non-ignoranza dell’anima rispetto alle passioni che il corpo subisce e sui numeri del giudizio, che consente di comprendere in quale ordine si condizionano i numeri che danno forma ai modi della realtà, in questo caso all’esperienza sonora del verso. Il discepolo non si spiega come suoni che certamente sono corporei possano agire sui numeri dell’anima. Così il tema della gerarchia diventa il preludio attraverso cui si gioca la possibilità di comprendere se davvero ciò che si dice udire è proprio qualcosa di prodotto dal corpo nell’anima. Si deve innanzitutto osservare come la realtà venga incontro all’anima. Certamente il corpo non può modificare ciò che gli è superiore, come se l’anima fosse un materiale che attende di essere plasmato e animato. Al contrario è l’anima a operare sulle informazioni che il corpo riporta passivamente,  è un rapporto da operaio ad attrezzo o da artista a strumento, dunque non c’è da meravigliarsi se l’anima agendo nella carne mortale, sente le passioni del corpo.
A partire da qui inizia la dimostrazione dell’incapacità da parte dei  numeri del suono di far subire direttamente all’anima una modificazione:

non penso che l’anima sia modificata dal corpo, ma che agisca in esso e su di esso in quanto soggetto al suo volere per volere divino.

Agostino può sostenere la superiorità dell’anima sul corpo in quanto ritiene sia compito dell’anima dare ritmo ai battiti cardiaci e permettere la respirazione. Essa consente la vitalità degli organi di un
corpo vivente e questa sua attività è anche dimostrata dal fatto che essa permane in uno stato di non-ignoranza rispetto alle passioni che il corpo subisce, e dunque, nel caso di malattia o di dolore, l’anima si spende per mantenere l’ordine e l’equilibrio delle parti del corpo, fisiche e intellettuali che siano. Tutta la difficoltà del problema che ci ferma, dipenderebbe dal fatto che si dimentica il ruolo eminentemente attivo svolto dall’anima nell’economia di un essere vivente. Lungi dall’essere lì  per subire e ricevere essa vi è soltanto per agire e dare.

Mi pare che quando l’anima subisce delle sensazioni nel corpo, non subisce qualcosa dal corpo, ma agisce con maggior attenzione su ciò che il corpo subisce e queste azioni, facili se convenienti o difficili se non convenienti, non le sono nascoste. E tutto questo è ciò che si dice sentire.

Inoltre l’azione dell’anima sul corpo è orientata da  certi numeri, grazie ai quali siamo frenati e trattenuti:

dai passi ineguali nel camminare, da intervalli ineguali di colpi nel battere, da movimenti ineguali delle mascelle nel mangiare e nel bere, da graffi ineguali delle unghie nel grattare e per non elencare molte altre operazioni, ciò che ci frena da movimenti ineguali quando tendiamo a fare qualcosa con le membra e ci comanda tacitamente una certa uguaglianza è una non so quale capacità di giudizio.


Questa capacità di giudizio Agostino la riconosce in quel soggetto che ri-trova in sé una capacità di misurare e cogliere relazioni che prescinde dalla molteplicità dell’esperienza.
 
La condizione per superare il caos dell’esperienza immediata è data da  certi numeri interiori che permettono di accettare una  certa uguaglianza e rifiutare la disarmonia, tanto che il verso ha da conformarsi a essi per risultare  piacevole. Dunque i numeri del giudizio mostrano come l’anima sia tensione alla stabilità, alla permanenza e all’eterna uguaglianza che pure riconoscevamo anche se adombrata e in divenire.

E. Fortin