la modificazione non si prolunga al di là e non si costringe al di qua,
perché è la misura del suono che la produce … E non può esistere se non si ha
il suono che l’ha prodotta: è simile alla traccia lasciata nell’acqua, che non
si forma prima che tu abbia immerso il corpo e non rimane quando lo ritrai.
Musica
est scientia bene modulandi, la musica è la scienza del misurare correttamente
secondo un ritmo. Questa è la definizione di musica proposta
dal Magister-Agostino
al discipulus
nelle prime pagine del De Musica, un dialogo condotto con la tecnica della
maieutica socratica che consente al lettore di collocare il concetto di musica
all'interno del pensiero agostiniano. La musica, infatti, collocata da
Agostino nella prospettiva cristiana, diventa strumento per elevarsi a Dio, in
quanto consente
all'uomo di passare per corporalia ad incorporalia, ovvero dalla realtÃ
sensibile e corporea a quella sovrasensibile, incorporea e spirituale.
Il numerus, ovvero il ritmo, e l'actus sentiendi presieduto
dall'anima sono
l'anello di collegamento fra esteriorità , interiorità e fra questa e la
superiore dimensione spirituale e divina. Per Agostino, la percezione della musica
si verifica mediante l'actus sentiendi, ossia
un'attività dell'anima stessa che, presente in ogni parte del corpo, è
continuamente attenta ad ogni minima modificazione che in lui avviene e che è
provocata da oggetti esterni. Mediante la musica e la sensazione, l'uomo giunge
a scoprire, nella sua stessa anima, l'esistenza di principi immortali che
derivano direttamente da Dio: i numeri. I numeri esistono innanzi tutto nell'aria che,
"percossa", produce il suono. Sono i numeri sonantes
che si verificano indipendentemente dal fatto che ci sia o meno qualcuno che
ascolti. Esistono poi i numeri occursores, presenti
nell'orecchio di chi ascolta e che senza i precedenti non possono esistere. Poi
ci sono i numeri
che esistono indipendentemente dai primi due: progressores,
indispensabili perchè si inneschi il motus dell'aria che produce il suono. Ma
esistono anche numeri
che si possono ascoltare senza che l'aria sia percossa perchè essi sono
presenti nella nostra memoria: sono i numeri recordabiles.
Se poi siamo naturalmente portati ad essere dilettati o infastiditi da ciò che
ascoltiamo, secondo la maggiore o minore "uguaglianza" riscontrata
nell'ascolto, ciò lo dobbiamo ai numeri iudiciales. Questi
ultimi ci consentono di modulari, ovvero di misurare
correttamente, ovvero di giudicare. Ma di che giudizio si tratta? Solo di un
giudizio estetico. Ma quali numeri ci consentono di bene modulari? I numeri
rationales, superiori a tutti gli altri in quanto permettono di
esprimere il vero giudizio, quello razionale, non più legato alla corporeità ,
come il giudizio estetico (modulari), bensì alla moralità (bene modulari). Così Agostino-Magister
classifica definitivamente i vari numeri-ritmo: i numeri rationales
divengono i veri iudiciales,
mentre i numeri
iudiciales divengono sensuales. Secondo l'Ipponate la nostra anima non sarebbe
in grado in alcun modo di consentirci di percepire la musica e di giudicare la
sua minore o maggiore bellezza se non fosse impresso in lei l'ideale immortale
di bellezza che può derivarle solo da un'essenza superiore (Dio). È solo la ratio che
consente di tradurre
quanto ascoltiamo in puri rapporti matematici; essa consente di ricondurre
quanto è soggettivamente piacevole alla Bellezza oggettiva, caratterizzata
dalla perfezione dell'uguaglianza e dell'unità . I numeri rationales/iudiciales
sono un dono per l'anima, affinché essa possa cogliere nelle cose sensibili le
tracce e i segni della aequalitas numerosa, autentica Bellezza manifestazione dei numeri aeterni
presenti solo in Dio. Il numerus-ritmo come filo
conduttore, il numerus per riscattare dalla
caducità una materia effimera come il suono. La musica, operatio
animi fondata sui numeri, quasi
scrigno di segni teofanici, è mezzo per l'anima per potersi elevare fino alla
contemplazione della perfetta uguaglianza, della vera Bellezza.
Agostino nella sua ricerca parte
dalla:
osservazione di taluni modi d’essere di cui si cerca la spiegazione
ultima … Si tratti del mondo dei corpi in divenire o della vita del pensiero
alla ricerca del vero, il fatto fondamentale da spiegare resta il medesimo.
Un’analogia con il X libro delle
Confessioni aiuta a comprendere il punto di partenza dell’opera, per poi
individuarne il vero oggetto.
Ma cosa amo, amando te?
Per rispondere alla domanda
Agostino osserva:
interrogai sul mio Dio la mole dell’universo, e mi rispose: “Non sono
io, ma è
lui che mi fece”
Nel VI libro del De musica
Agostino considera inizialmente la
scoperta del mondo esteriore a partire dalla conoscenza sensibile, per arrivare
in seguito a domandarsi cosa significhi
sentire, se questa possibilità risieda nei suoni materiali o nell’atto
dell’udire; prende dunque avvio da quella che, per sottolineare l’analogia con
le Confessioni, si potrebbe interpretare
come una interrogazione della mole
dell’universo.
Con il percorso proposto Agostino
non vuole mostrare ciò che l’uomo può dominare o meramente ciò che gli consente
di permanere in una verità obiettiva e utilizzabile, ma (forse a
causa della sua
inquietudine conoscitiva) è
spinto a oltrepassare la prima consapevolezza acquisita sulle possibilitÃ
umane. Seguendo la prospettiva totalizzante suggerita dalla realtà , è
continuamente indotto alla ricerca di ciò che possa mostrarsi soddisfacente per
l’umano desiderio e che inveri sia il cammino lungo il territorio di grammatici
e poeti sia ogni altra ricerca conoscitiva condotta dall’uomo. Perciò
l’oggetto dell’indagine deve
essere adeguato:
Io penso che l’uomo deve tendere all’oggetto che può possedere, quando
lo desidera … Deve essere dunque, soggiunsi, un bene stabile, non dipendente
dalla fortuna, non condizionato dai vari accadimenti. Infatti non possiamo
assicurarci quando e per tutto il tempo che vogliamo ciò che è
perituro e caduco.
A ben vedere già dall’inizio del
VI libro si trova esplicitato il nascosto desiderio di passare dalle realtà corporee alle
incorporee, ovvero dalle realtà mutevoli a quelle stabili, immutabili, che
permettono di conservare ciò che invece è
perituro e caduco, perché le
perfezioni invisibili di Dio si contemplano comprendendole attraverso le cose
che sono state create (Rm 1,20).
Quali passaggi dunque vengono
proposti da Agostino nel VI libro del De musica, per conoscere innanzitutto le
cose create e giungere quindi dai numeri corporei e da quelli spirituali ma
mutevoli ai numeri immutabili, che esistono ormai nella stessa immutabile
Verità ? Nella domanda è già evidente come la questione sia posta sin
dall’inizio su più livelli e prenda in
considerazione una pluralità di aspetti possibili. Si può sostenere infatti che
l’analisi prenda le mosse dall’aspetto più materiale dell’esperienza sonora,
permettendo così di:
osservare, quasi come in un laboratorio, il mistero della creazione,
del sorgere della storia e quindi del tempo, non in senso metaforico, ma in
senso materiale senza tuttavia concludersi su questo piano.
In questo modo viene posto anche
il problema più generale: perché non si esige semplicemente un principio, ma un
principio ontologico? Tale domanda è importante se si pensa che è possibile
descrivere l’essere del mondo nella sua semplice presenza e ricorrendo alle
relazioni che sono ad esso immanenti. Se l’atto creativo della posizione
dell’essere sorge dalla libertà , come va intesa la relazione che intercorre tra
colui che pone e ciò che è posto?
Si può sostenere che proprio il
tema della creazione è fondamentale, nel De musica e nella ricerca Agostiniana,
ed emerge a partire dall’ascolto della relazione natura-uomo-Dio.
Nel VI libro innanzitutto
Agostino prende in considerazione la percezione del verso ambrosiano Deus
creator omnium, sorprendendosi di un ritmo che, con la propria cadenza
regolare, crea inaspettatamente una forma che si offre al pensiero di chi ne fa
esperienza. Questo modo di darsi del verso – a intervalli regolari – permette
al soggetto conoscente, e a noi che leggiamo, di iniziare un cammino
conoscitivo a partire dalle tracce dei numeri: i numeri sono i tratti oggettivi
che immediatamente permettono una misteriosa ed effettiva corrispondenza tra il
soggetto conoscente e la cosa stessa che viene conosciuta.
A un primo livello di analisi
vengono ricostruiti i diversi punti di vista da cui viene determinato il
fenomeno sonoro: realtà , percezione, sentimento, misura, giudizio.
Andando più a fondo del primo
darsi del verso ambrosiano, si spiega anche la ragione per la quale nei libri
precedenti Agostino si è intrattenuto così a lungo nell’analisi metrica.
L’obiettivo dell’analisi infatti,
sottolinea spesso Agostino, non era di permanere nella scienza limitata alla
cose finite, ma è stato necessario attraversare il territorio di grammatici e
poeti per provare che il continuo combinarsi reciproco di ritmi e piedi porta
con sé la legge dell’ordine delle cose e la razionalità intrinseca di ogni
movimento. Per poter anche noi
riconoscere le strutture numeriche proprie della sensazione, del creato e del
loro specifico rapportarsi, possiamo cogliere la domanda che Agostino pone al
discepolo quando vuole sapere se i numeri, che permettono a un suono di
verificarsi con i suoi ritmi, siano già presenti nell’udito di chi ascolta o se
invece sia il suono stesso a causarli dall’esterno. Per avvicinarsi alla
comprensione delle condizioni di possibilità dell’udito di afferrare un suono,
occorre esaminare la relazione effettiva
che si dà nell’esperienza: la modificazione che l’orecchio subisce.
Siamo ancora al livello della
percezione.
Quando l’urto di corpi produce
una modificazione, cosa accade nel senso del soggetto? Agostino chiede se
quando esperiamo il primo genere – che si dà con il suono – possiamo sperimentare
contemporaneamente qualcuno degli altri
quattro modi descritti. E l’ascolto del
suono (la modificazione) può esserci se non suona niente? E quelle orecchie
possiedono gli stessi numeri anche se
non c’è suono? Cosicché la variazione apportata all’orecchio
dal suono, porta con sé anche i numeri che si trovano nello stesso sentire
dell’udito e quindi questi numeri sono introdotti dal suono e portati via dal
silenzio?
Eccoci sulle tracce dei numeri.
Innanzitutto occorre dire
che l’udito è aperto ai suoni buoni allo
stesso modo che ai cattivi, tanto che udire un suono è diverso dal non udirne
nessuno, così udire una voce differisce
dall’udirne un’altra. Gradualmente ci avviciniamo alla soluzione:
la modificazione non si prolunga al di là e non si costringe al di qua,
perché è la misura del suono che la produce … E non può esistere se non si ha
il suono che l’ha prodotta: è simile alla traccia lasciata nell’acqua, che non
si forma prima che tu abbia immerso il corpo e non rimane quando lo ritrai.
Così Agostino sottolinea un aspetto
di questo rapporto suono-udito, e profila la prima risposta a una delle domande poste. Ovvero possiamo
sostenere che i numeri presenti
(dell’udire) sono strettamente legati e dipendenti dai numeri sonanti (del suono), dal momento che
il suono percepito è originato esclusivamente dal suono che giunge all’organo,
tanto che non si attiva se non in relazione a quello. Al contrario i numeri
del suono sono totalmente indipendenti
dai numeri che sono nell’atto di udire. Questa affermazione risulta decisiva
per la scoperta del fatto che i numeri
presenti sono la reazione alla passione portata dal suono in atto. Ma quindi se
non suona niente quelle orecchie possono
ugualmente possedere dei numeri? Il discepolo sostiene:
Muovendo dalla regola secondo cui non bisogna anteporre coloro che
fanno alle cose fatte, sono costretto a concedere la palma ai numeri che
suonano, perché li percepiamo quando li ascoltiamo, e quando li percepiamo ne
siamo modificati. Essi dunque producono quelli che sono nella modificazione
dell’udito quando ascoltiamo, poi quelli che possediamo nell’atto di ascolto a
loro volta ne producono altri nella memoria, ai quali giustamente sono da
preferire perché fatti da loro.
Diversamente Agostino afferma
che il nostro udito senza certi numeri
in esso nascosti non avrebbe potuto agire in alcun modo. Si tratta dunque di
capire cosa significhi sentire, o ancora
meglio dove risieda la sua condizione di possibilità , se nei suoni materiali o
nell’udire che li fa risuonare. E così si apre un’analisi sullo stato di
non-ignoranza dell’anima rispetto alle passioni che il corpo subisce e sui
numeri del giudizio, che consente di comprendere in quale ordine si
condizionano i numeri che danno forma ai modi della realtà , in questo caso
all’esperienza sonora del verso. Il discepolo non si spiega come suoni che
certamente sono corporei possano agire sui numeri dell’anima. Così il tema
della gerarchia diventa il preludio attraverso cui si gioca la possibilità di
comprendere se davvero ciò che si dice udire è proprio qualcosa di prodotto dal
corpo nell’anima. Si deve innanzitutto osservare come la realtà venga incontro
all’anima. Certamente il corpo non può modificare ciò che gli è superiore, come
se l’anima fosse un materiale che attende di essere plasmato e animato. Al
contrario è l’anima a operare sulle informazioni che il corpo riporta
passivamente, è un rapporto da operaio
ad attrezzo o da artista a strumento, dunque non c’è da meravigliarsi se
l’anima agendo nella carne mortale, sente le passioni del corpo.
A partire da qui inizia la
dimostrazione dell’incapacità da parte dei
numeri del suono di far subire direttamente all’anima una modificazione:
non penso che l’anima sia modificata dal corpo, ma che agisca in esso e
su di esso in quanto soggetto al suo volere per volere divino.
Agostino può sostenere la
superiorità dell’anima sul corpo in quanto ritiene sia compito dell’anima dare
ritmo ai battiti cardiaci e permettere la respirazione. Essa consente la
vitalità degli organi di un
corpo vivente e questa sua
attività è anche dimostrata dal fatto che essa permane in uno stato di
non-ignoranza rispetto alle passioni che il corpo subisce, e dunque, nel caso
di malattia o di dolore, l’anima si spende per mantenere l’ordine e
l’equilibrio delle parti del corpo, fisiche e intellettuali che siano. Tutta la
difficoltà del problema che ci ferma, dipenderebbe dal fatto che si dimentica
il ruolo eminentemente attivo svolto dall’anima nell’economia di un essere
vivente. Lungi dall’essere lì per subire
e ricevere essa vi è soltanto per agire e dare.
Mi pare che quando l’anima subisce delle sensazioni nel corpo, non
subisce qualcosa dal corpo, ma agisce con maggior attenzione su ciò che il
corpo subisce e queste azioni, facili se convenienti o difficili se non convenienti,
non le sono nascoste. E tutto questo è ciò che si dice sentire.
Inoltre l’azione dell’anima sul
corpo è orientata da certi numeri, grazie
ai quali siamo frenati e trattenuti:
dai passi ineguali nel camminare, da intervalli ineguali di colpi nel
battere, da movimenti ineguali delle mascelle nel mangiare e nel bere, da
graffi ineguali delle unghie nel grattare e per non elencare molte altre
operazioni, ciò che ci frena da movimenti ineguali quando tendiamo a fare
qualcosa con le membra e ci comanda tacitamente una certa uguaglianza è una non
so quale capacità di giudizio.
Questa capacità di giudizio
Agostino la riconosce in quel soggetto che ri-trova in sé una capacità di
misurare e cogliere relazioni che prescinde dalla molteplicità dell’esperienza.
La condizione per superare il caos dell’esperienza immediata è data
da certi numeri interiori che permettono
di accettare una certa uguaglianza e
rifiutare la disarmonia, tanto che il verso ha da conformarsi a essi per
risultare piacevole. Dunque i numeri del
giudizio mostrano come l’anima sia tensione alla stabilità , alla permanenza e
all’eterna uguaglianza che pure riconoscevamo anche se adombrata e in divenire.
E. Fortin
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